Artisti e movimenti

Giuditta e Oloferne a casa Gentileschi

Alla fine del 1500 a Roma una delle botteghe d’arte più rinomate era quella di Orazio Gentileschi. Affermato pittore romano, Orazio rimase presto vedovo con una numerosa prole: una bambina, Artemisia e tre maschietti. Le capacità artistiche del padre furono ereditate proprio dalla piccola Artemisia che lasciò il suo segno nella scena artistica del ‘600. Artemisia apprese l’arte di macinare i colori, l’estrazione degli oli, il confezionamento dei pennelli con setole e pelo animale, l’approntamento delle tele e sopratutto, aiutando il padre, l’arte del dipingere.

by Lucas Vorsterman, after Sir Anthony Van Dyck, line engraving, mid 17th century

Uno dei soggetti più volte affrontati dai due Gentileschi fu la storia di Giuditta e Oloferne. Giuditta, eroina biblica del libro omonimo, era una giovane e bella vedova di Betulia, città assediata dall’eserecito Assiro di Nabucodonosordi cui generale era il terribile Oloferne. La città assediata era ormai pronta ad arrendersi quando Giuditta di sua iniziativa con la serva Abra si reca nell’accampamento assiro. Grazie alla sua bellezza seduce Oloferne e poi lo uccide decapitandolo.

Giuditta e Abra allora scappano dall’accampamento nemico portando come trofeo la testa di Oloferne ai cittadini di Betulia, che rincuorati dalla morte del generale nemico insorgono contro gli assiri sconfiggendoli.

Artemisia Gentileschi,(?)
“Giuditta e l’ancella”,
1611-1614, olio su tela,
Collezione Lemme, Roma

Da ricerche effettuate sono stati reperiti otto quadri, uno quello della Collezione Lemme ancora non sicuramente attribuito ai Gentileschi, che rappresentano la storia di Giuditta anche se non si esclude che qualche opera sia potuta sfuggire alla nostra ricerca. I momenti ripresi sia dal padre che dalla figlia sono quelli della decapitazione di Oloferne o quello immediatamente successivo della fuga delle due eroine dall’accampamento.

Orazio Gentileschi, Giuditta e la serva, 1608, olio su tela Museo nazionale di Oslo

Il primo, a firma del solo Orazio Gentileschi, datato 1608 e conservato oggi alla galleria nazionale di Oslo, rappresenta Giuditta e la sua serva in procinto di scappare. La serva è girata e Giuditta ha una mano sulla sua spalla quasi a volerla rassicurare. Il quadro manca della tensione e della drammaticità che saranno propri di Artemisia. Le due donne sono unite da complicità e l’artista indaga gli aspetti formali dell’opera e la psicologia dei personaggi ritratti.

Orazio Gentileschi, “Giuditta e l’ancella”, 1610-1612, olio su tela, collezione privata

L’opera successiva rappresenta sempre Giuditta in procinto di fuggire: la donna ha la spada che sembra appoggiata su una spalla, mentre Abra questa volta non indossa un turbante sulla testa. Il momento è sempre sospeso, un’attimo rubato alle due complici prima della fuga; lo studio della luce risulta molto più accurato che nel precedente e i due volti sono quasi totalmente in ombra ma anche in questo caso manca la drammaticità che troveremo nelle opere successive di Artemisia.

Orazio e Artemisia Gentileschi, Giuditta e l’Ancella, 1621-24, olio su tela. 134,6 × 157,4 cm Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford (VS) © Allen Phillips Wadsworth Atheneum

La terza opera ritrae Giuditta e la sua serva frontalmente. L’impostazione di quest’opera è completamente diversa dalle precedenti e dalle altre due che dipingerà successivamente Artemisia che raffigurano sempre le due donne in piedi e in procinto di fuggire. Questo quadro attribuito da molti a padre e figlia, ci mostra una drammaticità e una tensione sopratutto nell’immagine della serva Abra che sarà tipica dei capolavori artemisiani. La donna che non è più volta di spalle ci appare di profilo, il viso ritrae una donna vera non idealizzata nei suoi canoni e nella sua bellezza, l’artista è riuscita ad imprimere con l’attento disegno del panneggio l’impressione che sia appena giunta dalla sua complice e che quasi la inciti a scappare.

Artemisia Gentileschi. “Giuditta che decapita Oloferne”,1612-13. Olio su tela 158,8×125,5 cm
Museo Nazionale di Capodimonte

Nel 1612 Artemisia Gentileschi dipinge per la prima volta il momento della decapitazione di Oloferne. Dipinto in un momento drammatico della vita di Artemisia, durante il suo processo per stupro, molti ipotizzano che il volto del generale Oloferne sia il ritratto dello stupratore di Artemisia, il pittore Agostino Tassi. Ciò che colpisce di quest’opera è però l’atteggiamento delle due donne riprese nel momento del delitto. Queste sono complici ed entrambe sono coinvolte nell’uccisione del generale: Abra aiuta la padrona immobilizzando Oloferne mentre Giuditta con una mano tiene la barba della vittima e con l’altra utilizza la spada per decapitarlo.

Particolare di Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi e Caravaggio

La maestria dell’artista si evidenzia sopratutto nell’espressione di Giuditta. E’ impossibile evitare il confronto con il quadro dipinto una decina di anni prima da quello che è considerato il genio del barocco: Caravaggio. Mentre la donna ritratta dal Maestro è l’immagine di come un uomo vede in una situazione così scabrosa una donna: restia a compiere un atto di violenza così efferato e disgustata dalla situazione che deve vivere per salvare la sua gente, la Giuditta di Artemisia è una donna dipinta da un’altra donna. Sicura di sè, convinta di ciò che sta facendo e quasi compiaciuta di poter decidere di se stessa incurante del giudizio maschile. Il quadro è drammatico, sia per il taglio voluto dall’artista che mostra in primo piano la decapitazione che per i colori usati: il blu, il rosso e il bianco.

Artemisia Gentileschi Giudittache decapita Oloferne 1612-1620, olio su tela,
Dim: 199×162,5 cm
Palazzo Pitti, Firenze

Lo stesso soggetto e momento sarà ripreso dall’autrice in un quadro realizzato e conservato a Firenze. Di dimensioni quasi doppie rispetto all’opera precedente, la scena appare meno drammatica sia per il taglio prospettico che ci mostra tutta la figura di Oloferne distogliendo almeno in parte la nostra attenzione sull’atto brutale dell’omicidio che per i colori utilizzati: il giallo e il bianco per le due donne ed un panneggio rosso per la vittima. Quest’opera datata 1618 -20 è del periodo fiorentino di Artemisia. La pittrice dopo essersi trasferita da Roma fiorisce culturalmente e socialmente. Nel giro di tre anni impara a leggere e scrivere, a suonare il liuto e a ballare, incontra intellettuali del calibro di Galileo Galilei e viene introdotta nell’élite fiorentina. I suoi quadri rispecchiano questo cambiamento. Gli abiti sono dipinti con accuratezza e sono molto più eleganti rispetto alla precedente versione così come i gioielli che indossa Giuditta sono dipinti con estrema cura.

Sempre del periodo fiorentino è il quadro di Giuditta e la sua serva conservato a Palazzo Pitti. Qui si legge chiaramente l’importanza dell’apprendistato nella bottega del padre. Il quadro infatti richiama quelli dipinti da Orazio e forse si può ipotizzare l’uso dello stesso cartone per tutti e tre i quadri. Anche in questo caso le due donne sono in procinto di fuggire dall’accampamento, entrambe sono girate verso destra, quasi a volersi accertare che nessuno le stia cercando. Rispetto all’ opera di Orazio le due donne sono più ravvicinate e Giuditta appoggia con orgoglio la spada sulla sua spalla. Anche in questo caso abbiamo il ritratto di una donna sicura di sè e del suo ruolo nella liberazione della propria gente dal pericolo della dominazione assira. Gli abiti, i gioielli e tutte le suppellettili sono raffinate ed eleganti indice della ricchezza dell’ambiente frequentato dalla pittrice ed anche di un pubblico più esigente e colto.

Artemisia Gentileschi. Giuditta e la sua ancella , 1618-19 olio su tela 114cmx 93,5cm Galleria Palatina di Palazzo Pitti Firenze

Successivo al periodo fiorentino è il quadro conservato a Detroit datato 1625-1627. E’ un quadro che ci mostra ancora una volta come la pittrice abbia fatto sue le lezioni caravaggesche sopratutto per la maestria con cui gestisce i giochi di luce. Giuditta concentrata probabilmente ad ascoltare i rumori dell’accampamento nemico è pronta a spegnere con una mano la candela in caso di necessità. Tutta la scena è avvolta nella semioscurità ed unica fonte di luce del quadro resta la candela. L’ancella accovacciata guarda la padrona in attesa di ordini. La scena è descritta con una ricchezza di particolari che ci mostrano la bravura dell’artista anche nella rappresentazione degli oggetti: il candelabro, l’elsa della spada, il panno di sicura memoria caravaggesca.

Artemisia Gentileschi Giuditta e la sua Serva, 1625-27 olio su tela 182,5×142,2cm
Detroit Institute fo arts

Questa breve disamina, che non vuol essere assolutamente esaustiva, ci mostra le similitudini e le differenze del lavoro di padre e figlia. Artemisia, al contrario di quanto possiamo immaginare, non fu l’unica donna pittrice barocca. Tratto comune di tutte queste pittrici straordinarie fu la fortuna di nascere o in una bottega di artisti o di essere figlie di padri illuminati, che contro tutte le usanze dell’epoca hanno dato la possibilità alle figlie di imparare l’arte della pittura.

  • Sitografia
  • aboutartonline.com/la-giuditta-lemme-e-un-dipinto-di-ottavo-leoni/
  • Arteworld.it “Giuditta con la sua ancella di Artemisia Gentileschi:analisi comparata dei quadri” Dario Mastromattei
  • Geometriefluide.com “Giuditta e la serva” di A. Cocchi
  • italianways.com “Giuditta e Oloferne nell’arte italiana”
  • micheledanieli.wordpress.com/2013/05/07/la-faccia-di-orazio-gentileschi/
  • Per approfondire con un libro

Per approfondire con un film

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